STORIA BIOMEDICA DEL TARANTISMO

CRISPIANO – La Taranta non come fenomeno di massa, ma come vera e propria possessione. A presentare sotto questa veste quello che è oramai diventato uno dei cult del Salento, il professor Gino Di Mitri, autore di “Storia biomedica del tarantismo nel XVIII secolo”, edito da Leo S. Olschki.
Di Mitri è stato ospite del caffè letterario “Altrove” di Crispiano, dove ha impeccabilmente analizzato il tarantismo da un punto di vista più “epistemologicamente corretto”, ovvero con un approccio di tipo scientifico. “Il Salento è oramai sinonimo di pizzica, di un popolo che gozzoviglia, ma questa immagine non è corretta. C’è in generale una tendenza, soprattutto da parte delle amministrazioni, ad utilizzare gli aspetti esteriori della rappresentazione identitaria”, ha esordito il professore, precisando anche di essere ben lontano da questa visione riduttiva di un fenomeno ben più complesso.
Di Mitri ha quindi ripercorso gli studi sull’argomento condotti nel 700, epoca in cui, grazie all’Illuminismo, il fenomeno ha iniziato ad essere indagato in maniera più “seria”. “I medici del XVIII secolo già capiscono che nei tarantati c’è molta teatralità nell’uso del corpo. La danza per loro è la narrazione di un vissuto, è un percorso che conduce all’espressione di una sofferenza”, ha affermato lo studioso, che si è poi soffermato su numerosi altri aspetti. Sono stati così passati in rassegna il rituale del tarantismo, gli strumenti musicali utilizzati, così come li ha descritti Epifanio Ferdinando e il rapporto esistente nella tradizione contadina tra le malattie ed i santi. Da qui, poi, un rapido excursus sul tarantismo nel corso dei tempi: “Tommaso Cornelio, nel 1672, in una rivista narra della morte di un salentino per il morso di una tarantola. Il primo a descrivere le conseguenze del morso come una forma di possessione è nel 1706 Ludovico Valletta, mentre nel 1741 Niccolò Caputi parla di Galatina come sede di un centro religioso di cura e Boissier de Sauvages Delacroix classifica il tarantismo come malattia mentale, distinguendone quattro tipi”. Importante anche lo spazio riservato al tarantismo come esorcismo coreutico – musicale e agli studi di Ernesto De Martino e Diego Carpitella. Da tutto questo, appunto, l’idea del “tarantismo come riturale sincretico di possessione” e quindi come segno profondo di disagio e sofferenza.

Fonte: Paola Guarnieri