Con la domenica delle Palme, si entra nel vivo della Settimana Santa; i cristiani celebrano la Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo, seguendo le tradizioni che cambiano di luogo in luogo; i riti più popolari e significativi sono quelli che si celebrano a Taranto, ma in molti comuni non mancano suggestive devozioni che sottolineano il significato della Pasqua.
Crispiano ha mutuato molti dei suoi riti pasquali, dalla stessa città di Taranto, ma vanta variegate tradizioni culinarie a motivo dell’eterogeneità della sua popolazione, formatasi a seguito dell’autonomia comunale conquistata nel 1919.
Il senso religioso della festa veniva rispettato con maggiore devozione e tante erano le privazioni che le regole della Chiesa “imponevano”: si evitavano le carni, i formaggi, le grattugie venivano riposte nelle dispense; niente dolci e qualche penitenza in più.
Questa Pasqua sarà ancora più difficile celebrarla con spirito cristiano, tenuto conto che coincide con l’avvio della campagna elettorale per le elezioni politiche e amministrative, ma andando ai ricordi di ciò che avveniva sino agli anni ’50, nelle campagne e nelle masserie in particolare, si attendeva mezzogiorno del Sabato Santo, per iniziare la festa.
Si sentivano le campane annunciare la Resurrezione, alle quali si univano i contadini e le massaie a far rumore con gli oggetti più svariati.
Chi sapeva suonare anche modestamente uno strumento musicale, andava in giro con i compagni d avventura, a “cantà all’ov” (un rito di suoni e canti finalizzato a farsi una scorta di uova, salsicce e formaggio).
Le donne prenotavano o attivavano il loro forno per fare bella mostra dei dolci (taralli di Pasqua, pasticcini di mandorle e zucchero, spezzoni e l’immancabile “palomma” o “scarcella” ad una, tre o più uova, che doveva essere inderogabilmente consumata il giorno di “calzunidd” – Pasquetta); nessuno doveva cedere alla tentazione data dal profumo e dalla bontà delle specialità, di consumare prima della festa, le golosità preparate.
Il dolce particolare immancabile sulla tavola delle nostre famiglie, erano i taralli glassati, la cui riuscita costituiva l’orgoglio della massaia.
Il banchetto pasquale veniva consumato in famiglia, portando direttamente in tavola grandi tegami di coccio pieni di ingredienti vari, sistemati a strati e portati a cottura in un grande camino che fungeva da cucina.
Facevano parte della nostra tradizione culinaria le cicorie selvati¬che, la rucola, i lampascioni, i funghi cardoncelli, gli asparagi, i cardi e i finocchi selvatici,; molte carni portate in tavola provenivamo da animali da cortile, come polli, conigli e galline, pecore, agnelli, capretti e vitelli allevati nelle stalle delle masserie.
I giorno più significativi della Settimana Santa iniziavano con la “Cena domini” al termine della quale venivano “spogliati gli altari”, ricoperti i simulacri in segno di lutto; la Madonna Addolorata usciva dalla parrocchia di San Francesco la sera del giovedì santo e la mattina del venerdì, dalla chiesa madre, per poi congiungersi, nel pomeriggio, nella suggestiva processione dei Misteri che ancora oggi vede la partecipazione di tutte le associazioni e di numerosissimi fedeli; per molti anni è stata celebrata nelle grotte del paese, la Via Crucis.
Erano doverose almeno tre visite ai Sepolcri che allora venivano considerati veri e propri catafalchi, e non l’esposizione solenne del Santissimo; ai piedi venivano posti i caratteristici piatti ricolmi di leguminose fatte germogliare al buio; i confratelli erano vestiti con il sacco, presenziavano tutta la notte e si preoccupavano di raccogliere l’olio per tenere accese le lampade.
Gli auguri venivano scambiati incontrandosi o facendo visita alle case; era l’occasione per rivedersi e per rinnovare i sentimenti di amicizia e di stima fra parenti e amici.
Non mancavano durante questo periodo particolare, i giochi in ogni angolo delle strade (le famose “puzzédd”, “a’reng”, “i bottoni”, “testa o croce”, “u scavaddet” e persino “l’azzicca lucertola” le cui bestioline poi però, ritrovavano la libertà).
Da lontano giungevano cartoline di auguri o arrivavano direttamente familiari emigrati col desiderio di riabbracciare i propri cari e di vivere la festa nel clima tipico rimasto nel ricordo di ognuno.
Il lunedì di Pasqua si organizzavano con i mezzi a disposizione e anche a piedi, scampagnate nella splendida campagna murgese, godendo del primo sole di primavera tra partite di calcio e giochi improvvisati.
Molte di queste tradizioni resistono al progressivo deterioramento dei rapporti sociali, alla laicizzazione della società e al materialismo crescente, anche se il w.e. festivo, fa trascorrere questa circostanza, molto spesso lontano dalla famiglia tradizionale e la globalizzazione distrugge la tipicità dei prodotti tradizionali.
Dalle antiche ricette della signora crispianese Cosima De Rosa, che ha curato una raccolta pubblicata dal Comune di Crispiano, con lo scopo di riscoprire e non dimenticare la cultura della gastronomia locale, estrapoliamo gli ingredienti e la preparazione dei mitici “taralli scelippati” (glassati), che vengono preparati e consumati tradizionalmente in occasione della Pasqua:
Sbattere le uova in una coppa, aggiungere l’olio e il sale. Versare la farina sulla spianatoia, aggiungere le uova e impastare amalgamando bene gli ingredienti, lavorare molto bene la pasta. Formare un cordone, tagliarlo a pezzi un po’ grossi, formare dei taralli, come delle ciambelle, farli riposare per due ore. Mettere sul fuoco una pentola con l’acqua, quando bolle immergere i taralli poco per volta, quando salgono a gala, tirarli e metterli ad asciugare su un panno. Il giorno dopo, infornarli possibilmente in forno a legna .Dopo cotti, passarli in una glassa fatta con lo zucchero a velo, con il bianco dell’uovo e succo di limone, farli asciugare bene, prima di servirli.
Preparazione della glassa:
500 gr. di zucchero
acqua q.b.
2 albumi
limone
Mettete lo zucchero in un tegame e ricopritelo di acqua. Fate cuocere a fuoco lento continuando sempre a girare. Quando giunge ad ebollizione, con un cucchiaio di legno, prendete un po’ di liquido e posatelo su un piatto: se il liquido non si spande, la glassa è pronta. A parte montate a neve gli albumi e aggiungeteli un po’ per volta al composto continuando a girare. Spruzzate un po’ di limone per ottenere dei riflessi. Togliete dal fuoco e ponete la glassa in una insalatiera di vetro o ceramica continuando a girare finché non si rassetta. (La glassa si può preparare anche senza l’aggiunta degli albumi e del limone).
Fonte: Michele Annese