Pubblichiamo la seconda parte (la prima parte è stata pubblicata sul numero del 26 luglio), della dotta relazione tenuta, in piazza Madonna della Neve, dal prof. Gert-Jan Burges sugli scavi effettuati dalla Libera Università di Amsterdam alla zona L’Amastuola di Crispiano: “Ritorniamo, però, prima al paesaggio storico, ad un aspetto su cui non mi sono mai fermato ancora nelle mie conferenze a Crispiano, di estrema importanza, cioè sui dati sempre più abbondanti sul mondo indigeno contemporaneo. Ritengo che questi dati ci possono aiutare a capire la situazione particolare che troviamo a l’Amastuola. Particolarmente interessanti sono i dati che riguardano la fase pre-greca, che a l’Amastuola viene generalmente trascurata. A questo proposito bisogna sottolineare che l’Amastuola ben si inserisce in un modello identificato dal collega Francesco D’Andria dell’ Università di Lecce, il quale, in base ad un’analisi della distribuzione della ceramica dell’ epoca, per il Salento ha registrato un forte aumento degli insediamenti, fondati in molte zone salentine alla fine del VIII secolo a.C. Ed è quello proprio anche il periodo in cui fu fondato il villaggio sulla collina di l’Amastuola. Infatti, con le nostre ricerche topografiche abbiamo dimostrato che il sito e il paesaggio attorno fossero pressocchè disabitati nella fase precedente. Solo alla fine dell’ottavo secolo a.C. appaiono segni di vita sul sito, come è il caso su tanti altri siti secondo D’Andria.
L’eccezionale crescita nel numero dei siti l’abbiamo verificato analiticamente, attraverso le ricognizioni topografiche operate dalla Università di Amsterdam negli anni ’90 in una serie di insediamenti antichi nella piana di Brindisi nel nord-est del Salento. Si tratta dei siti di Valesio, Muro Tenente, Muro Maurizio e Li Castelli di San Pancrazio. In tutti i casi i risultati delle ricognizioni segnalano l’VIII secolo a.C. come periodo di nascita degli abitati. Le ricognizioni effettuate in questi siti hanno dimostrato che l’estensione totale dei singoli villaggi non presenta molte differenze, variando tra i 15 e i 28 ettari. Diverso è il caso di Oria al centro dell’istmo salentino, la cui area di insediamento totale alla fine del VIII secolo sembra raggiungere 90 ettari circa, dato dal quale emerge una gerarchia definita. E’ doveroso sottolineare che Oria è anche l’unico sito in questo territorio, di cui si sa che è stato continuamente occupato anche prima. Infatti, si è trasformato in un importante abitato fortificato durante i secoli precedenti della cosiddetta tarda Età del Bronzo. Sembrerebbe che si sia espanso nuovamente durante l’VIII secolo a.C., questa volta non solo diventando il maggiore agglomerato nella piana di Brindisi, ma anche popolando il proprio territorio con siti effimeri coevi, la cui fondazione molto probabilmente è da considerarsi come conseguenza di Oria.
Argomentazioni simili possono essere avanzate con riferimento alla provincia tarantina. Come Oria, vari siti di quella zona, compreso Taranto/Scoglio del Tonno, Torre Castelluccia, Torre Saturo e Monte Salete, hanno origini che risalgono all’Età del Bronzo e senza dubbio sono state anche abitate da popolazioni indigene durante l’VIII secolo a.C. Sfortunatamente, a causa della mancanza di indagini sistematiche, in quest’area è più difficile arrivare a qualsiasi ricostruzione della configurazione del sistema abitativo. Tuttavia, le ricerche topografiche e gli scavi archeologici di Arcangelo Fornaro nel paesaggio calcareo delle Murge tarantine suggeriscono che l’altopiano sia stato caratterizzato unicamente da espansione e popolamento dell’abitato contemporaneamente a quanto succede all’Amastuola.
dobbiamo concludere che, durante l’VIII secolo a.C., le popolazioni indigene del Salento erano impegnate nell’espansione dell’abitato, nel popolamento e nella bonifica di territori precedentemente non utilizzati o utilizzati solo marginalmente. Questi processi sembrano aver coinvolto di fatto tutte le principali unità territoriali del Salento, compresa la provincia di Taranto e il territorio di l’Amastuola. Il sito di L’amastuola sembra essere nato in questo contesto.
In recenti anni, varie ipotesi sono state proposte per spiegare questi sviluppi. I fattori più importanti certamente sono la crescita della popolazione, la differenziazione socio-economica e la relativa proliferazione di una elite. Una conclusione quasi inevitabile è che le trasformazioni nella disposizione degli abitati e dei paesaggi indicano una ridefinizione di confini territoriali entro le comunità locali, espansioni territoriali e, di conseguenza, una serie di conflitti tra gruppi indigeni.
Se torniamo ora a discutere dell’arrivo di migranti greci sulle coste dell’Italia meridionale, e in particolare della presenza di greci sul sito di l’Amastuola, questi fenomeni possono essere studiati da un differente punto di vista rispetto a quanto fatto tradizionalmente. Date le mie considerazioni, si può desumere che i greci che vennero a insediarsi nell’area di Taranto dal tardo VIII secolo a.C. abbiano costituito ulteriori elementi nel fermento delle fazioni politiche coeve e che essi siano probabilmente solo alcuni dei tanti partecipanti in un processo molto più ampio di migrazioni ed espansioni territoriali, di colonizzazioni interne e ridefinizioni territoriali sviluppate principalmente da gruppi indigeni.
Altre considerazioni possono sostenere questo argomento, riferendosi alle fonti scritte di cui ho parlato all’inizio che sembrano sottolineare piu che altro una politica aggressiva e espansionistica greca. Recentemente, il nostro collega Douwe Yntema ha affrontato il soggetto da un diverso punto di vista. Attingendo a moderni studi sull’identità sociale, uno dei maggiori argomenti di Yntema è che gli oracoli e i racconti della fondazione coloniale riportati da fonti scritte come Strabone, dovrebbero essere visti come miti che all’origine furono creati o trasformati durante i periodi piu tardi per conformarsi a specifiche circostanze ed eventi socio-politici coevi. Contestualizzando i miti principalmente nelle fasi più tardi, Yntema sostiene che essi vennero ridefiniti o inventati per fornire un passato eroico coloniale ed etnicamente greco alle comunità urbane che si stavano rapidamente sviluppando. Di conseguenza, i testi antichi non possono essere considerati come delle fonti affidabili delle prime fasi della colonizzazione greca dell’VIII e VII secolo a.C. Neppure dovrebbero essere presi letteralmente nel loro ritratto delle imprese coloniali come migrazioni di massa segnate da connaturate aggressioni ed espansioni.
Visti sotto questa luce, i dati archeologici presentano un panorama molto diverso delle prime migrazioni greche nell’Italia meridionale. Sono si presenti dei greci in Italia in questa fase, come ci attestano casi come appunto L’Amastuola, o anche Taranto, Metaponto e altri siti. Però, volendo sostituire la convenzionale prospettiva greco-centrata con una “indigena”, potremmo supporre che i primi greci erano consapevolmente utilizzati nella coeva arena indigena socio-politica, un’arena contrassegnata da grande fermento. Una associazione con stranieri può non soltanto aver aumentato il prestigio tra la propria e le altre comunità indigene, ma i nuovi arrivati possono anche aver giocato un ruolo nelle lotte interne politico-territoriali così come in lotte intra-tribali. Allo stesso modo, potremmo supporre che a piccoli gruppi di greci fosse consentito di effettuare scambi, insediarsi e integrarsi tra le comunità indigene.
Ora arrivo alle conclusioni. Riteniamo che l’interpretazione dei dati di l’Amastuola non si può fare senza tener conto dei fenomeni sopra discussi. Potrebbero, infatti, spiegare perchè anche qui, in un territorio precedentemente disabitato, alla fine del VIII secolo a.C. viene fondato un insediamento indigeno. Potrebbe anche spiegare perchè questa comunità in seguito si sia associata a dei coloni greci. Davvero noi pensiamo che in zone di contatto come queste tra greci e indigeni si sono verificate forme di contatto e di convivenza molto differenziate e con identità ambigue. E infatti, così sembra essere nel paesaggio dell’Amastuola che appunto noi vorremmo definire come paesaggio di contatto.
Paesaggio di contatto, questa è una definizione moderna per un territorio antico, un territorio però molto vivo ancora, vivace e con tante possibilità di sviluppo. Sviluppo nel senso economico, agricolo ma anche sviluppo nel senso turistico. E se ho capito bene, si sta facendo di tutto per farlo partire questo sviluppo turistico, tra l’altro con i nuovi progetti regionali dell’Area Vasta. Ed è giusto cosi. Io l’ho già sottolineato stasera, è un territorio gioiello, che merita la massima attenzione, che merita di essere valorizzato, che merita di essere visitato da turisti italiani e stranieri di tutto il mondo.
Anche se noi archeologi non siamo turisti, costituiamo l’esempio per eccelenza dello straniero che ritorna ogni anno, che viaggia più di 2000 km per scoprire i tesori di questo paesaggio. E non siamo gli unici e nel futuro ce ne saranno altri, ne sono sicuro. Il vostro territorio ha tutte le potenzialità per essere un paesaggio del contatto moderno, del contatto tra culture diverse, quella crispianese e quella forestiera, quella italiana con quella straniera in genere.
Certo che bisogna ancora rendere visitabili questi posti, queste masserie e gravine, questi siti archeologici come l’Amastuola. Bisogna andare però oltre la tutela ed il restauro. Secondo me bisogna cercare di offrire al visitatore l’opportunità di contattare, di dialogare con la storia, con il paesaggio, con l’ambiente e con altri visitatori; a mio avviso, siti come L’Amastuola, se ben una volta recuperati, possono svolgere un ruolo chiave nella valorizzazione del territorio, non solo econonomicamente o turistacamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista della percezione di un rapporto nuovo tra centro e periferia, tra abitato e campagna. E sono molto contento che fine in fondo questa filosofia è già attiva qui a Crispiano. Giudicando il programma estivo del paese con i tanti incontri in masseria e altrove, non posso concludere altro che il territorio vostro davvero ha tutte le potenzialità di diventare un punto centrale, dinamico, che offre alla gente tanti spunti per dialoghi culturali ed ambientali. Noi archeologi siamo disposti a collaborare e dare il nostro sostegno.
Ora concludo davvero con alcuni ringraziamenti. Innanzitutto vorrei ricordare l’ospitalità dimostrataci dal sindaco di Crispiano dott. Giuseppe Laddomada, dalla sua Ammninistrazione nuova e dall’intero Consiglio Comunale, soprattutto per averci ospitato presso la scuola Mancini. Sono contento che l’Amministrazione ha capito bene l’importanza del nostro lavoro per la valorizzazione del patrimonio culturale del paese.
Grazie anche ancora una volta ai dipendendenti del Comune che ci hanno dato una mano e in particolare al signor Michele Greco che anche quest’anno è stato disponibilissimo. Ringrazio anche i dipendenti della biblioteca comunale per il continuo sostegno dimostratoci, il preside Massimo Romandini ed i bidelli della scuola Mancini per averci ospitato e gli Amici da Sempre per la loro amicizia. Infine, come sempre, chiedo un applauso forte per l’equipe di studenti, volontari ed archeologi italiani, olandesi e australiani impegnati nello scavo e nelle ricognizioni e soprattutto anche per il mio collega Jan Paul Crielaard”.
Fonte: Michele Annese