Presentazione dell’opera “Soprannomi Crispianesi”, la nona di Don Romano Carrieri attualmente parroco della chiesa di S. Simone di Crispiano.
“Grande – dice Anna Sorn che ha seguito la cerimonia – è la sua umanità, brillante la sua sagacia e fortissimo il legame con la sua terra d’origine e con i crispianesi. E’ uno dei veterani di coloro che, di questo territorio, hanno dedicato alla Chiesa e alla cura delle anime la propria esistenza. Al suo normale cursus studiorum ha aggiunto, sin dall’inizio, l’amore per la musica, diplomandosi presso il Conservatorio di Bari. E’ stato organista del Duomo e della Corale Comunale diretta dal Maestro Bertilorenzi, mentre completava gli studi filosofici e teologici presso il Seminario di Massa Carrara. Autore di testi e di musiche arrangiate da lui stesso, si è cimentato, oltre che nella prosa con scritti di storia locale, nella poesia in vernacolo, in quella lingua dei padri che egli continua a coltivare, perché “più viva e più icastica”, più consona cioè alle variazioni dell’animo, più capace di renderne le sfumature più profonde, più essenziale ma non per questo meno pregnante”.
“Tr-mint n’ogn” – Guarda un po’”, che si muove in questa falsariga, è un fascicoletto in cui sono raccolte alcune riflessioni in versi, per un totale di 48 pagine, 24 in crispianese autentico, 24 in traduzione.
Questa è stata dedicata a Pino Petracca, “sorvegliante” nell’ispirazione e nell’edizione.
Tale ricerca consta di un elenco in sequenza rigorosamente alfabetica di appellativi, naturalmente in dialetto che, come in ogni paese, e a Crispiano più marcatamente, identificavano le famiglie.
Per sopraggiunti problemi di salute, al nostro Autore non è stato possibile assistere alla cerimonia di presentazione, avvenuta il 13 novembre nella chiesa di S. Michele, durante la quale sono anche state lette, dall’impareggiabile Giorgio Di Presa, tre poesie da “Tr-mint n’ogn” scelte personalmente da don Romano e che i partecipanti hanno ascoltato con grande godimento.
“Essendo Crispiano una comunità di poco più di due secoli – ha detto all’introduzione il dottor Vincenzo Colucci, coordinatore dell’evento e amico-collaboratore da lungo tempo del sacerdote – cresciuta per l’immigrazione di genti provenienti da paesi limitrofi, con livello bassissimo di scolarizzazione e dedita prevalentemente all’agricoltura, i soprannomi sono attecchiti e hanno proliferato agevolmente, prevalendo addirittura sui cognomi”.
Ha riferito, a questo riguardo, una sorta di modulistica di riconoscimento, che don Romano più volte ha ripreso nelle sue opere e che, in questa, rappresenta l’impianto costruttivo, proprio per stigmatizzarne la valenza e che si può riassumere in tre domande:
com t mitt? = qual’è il tuo cognome?
com t disc-n? = qual è il tuo soprannome?
a c appartin? = a chi appartieni?
“Da essa – aggiunge Sorn – ne deriva il percorso etico-sociale della comunità, che, al lettore attento, suggerisce lo spaccato di una realtà dove si intrecciano e si sovrappongono riferimenti di vita e caratteristiche fisiognomiche, istintiva arguzia popolana e ruvida efficacia iconografica, rivelando ora i luoghi di provenienza, ora le tipologie lavorative, più spesso le inclinazioni caratteriali. Leggendo e interpretando i soprannomi è come veder scorrere la pellicola di un vecchio film, le cui immagini, sbiadite nel tempo, vengono “rimesse a fuoco”, si ravvivano, riprendono la loro fisionomia, si “raccontano”. E don Romano vuole fare proprio questo: raccontare, affinché non siano spezzati i legami col passato e si colmi invece quel senso di isolamento e di estraniamento in cui spesso l’uomo moderno si dibatte; affinché, attraverso l’intervento della memoria, emergano caratteristiche di unione, di tipicità, di riconoscimento”.
“Con la narrazione – ha giustamente evidenziato la relatrice, dott.ssa Anna Sgobbio, Dirigente Scolastico della “Pasquale Mancini” di Crispiano, appassionata della lingua, delle tradizioni e dell’ “animus” locale – si esprimono i pensieri, le emozioni, i sentimenti, che si appalesano attraverso la successione degli eventi, l’impianto dell’immaginazione, la consequenzialità dell’intelligenza”.
E ancora “Attraverso il racconto passa la storia di un popolo. Chi ha la capacità di fare o di lasciare qualcosa è destinato a rimanere in quell’eternità in cui sono i “segni” della identità di ciascuno, capaci di snodarsi e rivelarsi attraverso le generazioni che si avvicendano. Riconoscere i “segni” della propria identità non è però sufficiente, perché sapere non basta. Bisogna comprendere. Solo dopo la conoscenza e la riflessione su cosa e chi si è, si comincia ad essere qualcos’altro”.
Purtroppo, uno dei “segni” più importanti, il dialetto, corre un doppio rischio: l’oblio e la contaminazione.E’ necessario recuperarlo alla sua purezza fonetica e semantica, prima che versioni ibride e incongrue si sovrappongano ad annullare l’originale.
E’ per questo che, entro il mese di novembre, chi ha a cuore queste problematiche si riunirà presso la biblioteca, in un comitato, per decidere una linea comune, finalizzata allo studio, alla valorizzazione dell’idioma locale e della storia che esso sottende, per sottoscrivere il rinnovato impegno verso la propria comunità.
Intanto sentitamente auguriamo a don Romano una pronta guarigione, con l’auspicio sincero di festeggiare insieme la sua prossima decima pubblicazione, la “Grammatica crispianese”.
Fonte: Michele Annese