Nance arrève Pasque, ce na fèsce cuntadèceme a lòne de marze

Crispiano: Tradizioni- popolari- religiose ( quello che le cronache non hanno scritto)
Nance arrève Pasque, ce na fèsce cuntadèceme a lòne de marze( Non arriva Pasqua, se non si compie la fase di Luna-piena del mese di Marzo). Questo detto Crispianese, affonda le radici nella cultura Latina. La” dies decima quinta” si riferiva al Novilùnio e, precisamente, quando la Luna si trova in congiunzione col Sole e rivolge alla Terra la faccia non illuminata. I nostri avi Crispianesi – anche se analfabeti- con questo notissimo detto enumeravano quei giorni che intercorrevano dal Novilùnio anzidetto, sino al Martedì Santo. Nel nostro paese le “tradizioni-popolari- religiose ” in preparazione della S. Pasqua, avevano inizio dal giorno delle Sacre Ceneri, entrando in quel periodo “ penitente” dove l’astinenza di alcuni cibi per l’intero periodo della Quaresima, induceva quasi in una forma di esorcismo arcaico, a sterilizzare persino gli utensili, serviti per libagioni carnevalesche. Particolarmente era attesa la Domenica delle Palme, occasione per riappacificarsi tra parenti, infatti, dopo la Santa benedizione dei ramoscelli d’ulivo, avveniva lo scambio, motivo per dimenticare screzi passati. Notevole considerazione aveva il porgere il rametto d’ulivo al proprio genitore, associato al rituale bacio sul dorso della mano. Il lunedì santo, i contadini, si recavano nei vari poderi di loro proprietà, a portare dei rami più grandi d’ulivo, si conficcavano nel terreno, ed inginocchiatisi, recitavano delle preghiere per profondere la benedizione ricevuta, anche ai loro campi seminati. Arrivati al Giovedì Santo la visita ai SS. Sepolcri, e, al Venerdì Santo prima della processione dei S. Misteri la celebrazione della “ a Mèssa- scerrète “ (la Messa dimenticata). In questa liturgia, dove si commemora la Passione e morte di N.S. Gesù Cristo, non viene consacrato il pane e il vino. Questo rito particolare, per i fedeli, diveniva :“ a Mèssa scerrète”. Come a dire: il prete si è dimenticato di consacrare il pane e il vino. Naturalmente il giorno più atteso era la celebrazione della Resurrezione, che, fino agli anni 1955 avveniva il sabato Santo – poco prima di mezzogiorno- con lo “ sparo” della Gloria. Chiamata così, poiché s’intendeva emulare quei riti magico-sacrali-arcaici, in sintonia del suono delle campane, si producevano rumori di ogni genere: sbattere pentole con cucchiai di legno; scuotere sedie; coperchi di pentole e, nelle campagne, anche con spari di fucile rivolti in aria). S’intendeva scacciare il maligno, sconfiggere la Morte, proprio come era avvenuto con la Resurrezione di N.S. Gesù Cristo. Questa esultanza di gioia (esplosione della Gloria) la si ritrova nell’ascolto delle “ Messe Solenni” che illustri compositori ( Mozart; Rossini; Verdi) hanno tramandato la loro emozione musicale, dando risalto maggiormente nel “Gloria” dove si recepiscono immense emozioni. In tutti i paesi rurali, al suono delle campane, per le strade si propagava una contagiosa esultanza che durava diversi minuti. Avvenuta “ lo sparo della Gloria” la festività prendeva forma, si riprendeva a mangiare carni, assaggiare prelibati dolci, fino a quel momento tenuti sottochiave dalle nonne, per tutti il tempo di Quaresima e rigorosamente nella settimana Santa. I Tipici “ Taralli all’uovo” con ” u scelèppe e l’anesène”; gli spezzoni di mandorle e zucchero. La colomba pasquale, fatta di pasta simile a quella del pane con le uova sode, veniva gustata il giorno di Pasquetta nella gita in campagna, dove una sobria allegria, accompagnata da qualche organetto e mandolino, creava quella spensieratezza partecipata da ognuno dei gitanti. Il periodo di religiosità iniziata quaranta giorni prima della Resurrezione (giorno delle Sacre Ceneri) si protraeva, quaranta giorni dopo ( giorno dell’Ascensione di N.S. Gesù Cristo) con la processione delle “Rogazioni” e la recita delle litanie dei Santi. Si distribuiva ai quattro punti cardinali del paese, la benedizione dei campi: “ a fulgore et tempestate libera nos Domine” ( dal fulmine e dai temporali liberaci o Signore). Processione che anticamente avveniva di Giovedì, giorno di Ascensione, per rendere grazie al Signore e riceverne abbondanti raccolti. Le tradizioni religiose- popolari, distinguevano un modo di vivere di un uomo dall’animo sereno.

Fonte: Francesco Santoro