“Di ritorno dall’Afghanistan ho trascorso un lungo periodo di autoisolamento da tutto…per pensare. Un giorno mio padre mi annunciò la visita di un altro padre, Franco Bruno, che portava nel cuore un dolore grande. Da allora un affetto profondo ci lega. Sono a Crispiano per l’affetto profondo per ciò che lui fa per mantenere la memoria di suo figlio. Io, per la mia parte, testimonio un’esperienza di ostaggio”.
Il 26 Maggio 2012, Gabriele Torsello ha portato, nella Sala Consiliare del Comune di Crispiano, le sue foto; il libro macro-didascalico di quelle; la storia di un viaggio che ha rischiato di non venire mai raccontato.
L’evento, coordinato dal direttore della Biblioteca Civica “C. Natale”, Michele Annese, ha visto uniti al sindaco Laddomada, al vicesindaco Magazzino, a Torsello, agli assessori Lodeserto e Luccarelli, al pubblico, alle alte autorità militari di Crispiano, di Lecce, di Bari e Martina, coinvolti tutti dall’impegno costante e dalla tenacia di Franco Bruno nel “preservare dall’oblio” la memoria di suo figlio Giovanni, caporal maggiore caduto in Afganistan.
L’intervento del direttore ha delineato la personalità e le esperienze di vita e lavorative di Kash Torsello, che ha scelto fin dall’inizio di “vivere direttamente le situazioni, i fatti e i luoghi di cui testimonia”, un viaggiatore capace di calarsi nelle realtà più diverse, cogliere direttamente le emozioni, fissare nelle foto la quotidianità della vita.
Nella scheda di presentazione si potrebbe scrivere così:
Agnomen – Kash, nome – Gabriele Torsello, mestiere – fotogiornalista, luogo di nascita – Salento (Italia), vocazione – viaggiatore, storia – nella “pellicola del pensiero, magazzino con tanti archivi che si riempiono e si svuotano per essere riempiti nuovamente con nuove impressioni, ricordi e sensazioni” come dice l’autore di “Afghanistan – Camera oscura” a prefazione di un libro che nasce perché gli archivi hanno bisogno ogni tanto di essere ripuliti se non svuotati e ciò che è stato ammassato necessita di una rilettura catartica, per rimettersi in cammino, per disegnare nuovi percorsi nella mappa della propria vita… soprattutto se uno dei viaggi ha avuto un epilogo inaspettato pur nella liturgia di pianificazione di un viaggiatore forgiato dall’esperienza.
Tutto comincia a Londra, l’11 settembre 2001, quando il World Trade Center di New York viene attaccato e distrutto da Osama Bin Laden, che nel 1996 ha dichiarato guerra agli Stati Uniti d’America. Pare che Bin Laden si sia rifugiato in Afghanistan….
Kash Gabriele Torsello vuole andare in Afghanistan prima che i Taliban chiudano le frontiere.
Il 1° venerdì di ottobre, dopo 3 settimane di attesa per un biglietto aereo, è all’aeroporto di Islamabad e subito dopo all’Ambasciata dei Taliban per i permessi di entrata a Kabul.
Non è una cosa facile.
Kash ha in mente una definizione del presidente Reagan, resa da lui negli anni ’80, durante l’invasione sovietica: “ I mujahideen sono freedom fighters, cioè guerrieri della libertà, chiave per la pace”, e lui non è forse un “cacciatore di informazioni, importanti per il raggiungimento della pace?”
Sente come suo dovere entrare in Afghanistan e documentare la situazione sociale.
Il suo desiderio rimane sospeso però.
Solo 4 anni dopo, quando il Governo Taliban è ormai estinto, può ritornare là da dove è partito.
Il 5 Luglio è di nuovo a Islamabad e poi a Peshawar e a Torkham, confine ufficiale tra il Pakistan e l’Afghanistan. Il visto di entrata timbrato alla dogana gli consente di mettere finalmente piede a Kabul. È in Badakshan, poi a Khost, a Kandahar, a Lashkar-Gah. La sua macchina fotografica scatta immagini su immagini. Pezzi di storia si compongono sulla pellicola come pagine di un libro.
A Lashkar-Gah, dove ha affittato una stanza, ha trascorso una sola notte.
Ha mangiato qualcosa, poi il mezzogiorno assolato lo ha spinto in un bar, a sorseggiare una bibita ghiacciata, che il negoziante non gli fa pagare, in segno di benvenuto.
La sua estraneità e l’altrui sono colmate da quel gesto.
Poi tutto cambia. Non taliban, non terroristi, ma forze militari governative lo accerchiano, gli puntano contro le armi. Lo privano di tutti gli effetti che giustificano la sua presenza in quei luoghi e che sono così parte della sua vita.
Lo portano alla Centrale di Polizia. Gli scattano delle foto. Lo perquisiscono ancora. Ispezionano minuziosamente tutti gli oggetti del suo lavoro. Gli fanno domande…dopo un’ora quella specie di fulmine sembra essersi allontanato. Sembra che l’equivoco sia chiarito. Lo accompagneranno in albergo, ma prima passeranno dall’Ufficio del Governatore, gli dicono.
Non fa in tempo a scendere dalla jeep che militari e civili lo accerchiano, gli riprendono tutto.
Uno lo accusa di essere un terrorista, anzi un “Taliban bastardo, un pakistano bastardo”, .
Lo picchiano, lo ispezionano. Lo portano in una grande stanza, dove il Governatore dell’Helmand in persona lo interroga sull’abbigliamento, sulle autorizzazioni.
Il nostro viaggiatore risponde con naturalezza, con la forza della verità.
Il Governatore sembra convinto. Lo autorizza a lavorare, gli dà il benvenuto.
Il capo dei militari che lo accompagna gli dà addirittura il suo numero di cellulare.
Il giorno successivo srotola le sue ore con apparente normalità, ma verso l’una, mentre percorre una strada e scatta qualche foto, dei militari, a bordo di una jeep, lo fermano.
Gli puntano contro i fucili e, nonostante si identifichi, lo fanno salire su un taxi a due ruote insieme ad un soldato dell’Armata Nazionale Afghana.
Giungono all’entrata di un accampamento militare e lo spingono verso il muro di recinzione.
L’irreparabile sembra essere nel suo destino.
Allora comincia a gridare di voler vedere il comandante.
Lo portano in un’altra caserma. Poi un ufficiale dell’ANA gli dice che Lashkar-Gah è pericolosa, che lo accompagneranno a Kandahar e poi proseguirà per Kabul. Un altro uomo, giunto poco dopo, gli dice che potrà rimanere a Lashkar-Gah.
Viene accompagnato in albergo.
In albergo, Amir, il fratello del manager dell’hotel, che si è recato alla stazione di polizia per portare i richiesti registri e non è ancora tornato, è preoccupato.
Torsello chiama il capo dei militi che gli ha lasciato il numero di cellulare, che lo rassicura.
Infatti il giorno dopo il manager ritorna sano e salvo all’hotel.
Certo il suo modo di vestire, il fatto di non avere una guida o una scorta armata, la sua abitudine a viaggiare “non protetto”, ad adottare, con senso di aperta liberalità, la cultura e le usanze del posto, se da un lato gli facilita il lavoro e agevola gli incontri, dall’altro però tende a generare sospetti e situazioni come quelle raccontate.
A Lashkar-Gah Torsello si ferma un mese. Tante realtà locali vengono impresse sulla pellicola della sua macchina fotografica e…nella sua memoria: gente comune – insegnanti – bambini e studenti – la Madrassa….
Qualcuno gli chiede e poi gli spiega chi sia Osama Bin Laden:
prima un balordo mujahideen poi non più, perché la jihad è guerra contro chi uccide con violenza uomini, donne e bambini, è guerra “contro il terrore per eliminarlo e scacciarlo dalle case, non per alimentarlo”.
E comunque “Bin Laden fa parte ormai del passato e non del presente”.
La sera del 22 settembre 2006 si presentano alla sua porta un uomo e una donna.
Sono Kahmatullah Hanefi e Marina Castellano di Emergency, informati del suo arresto e interessati al suo stato.
Lo invitano al loro ospedale e si scambiano i numeri di telefono.
Il giorno dopo Kash si reca alla loro base.
Tutti lo accolgono gentilmente, ma lo pregano di lasciare su un tavolo le attrezzature e di non fare foto.
Parlano dei tanti bambini, donne , anziani e giovani feriti dai bombardamenti e dalle mine antiuomo.
Kash vorrebbe vederli e fotografarli, ma dicono che è necessario una autorizzazione da parte del Coordinamento del Programma di Emergency, di base a Kabul, il cui responsabile arriverebbe però il giorno dopo.
Chiede di utilizzare internet e acconsentono, con l’unica condizione di metterli a conoscenza del luogo e delle persone con cui si collega.
Rahmatullah dice di essere in grado, se lo voglia, di organizzargli un incontro con i Taliban.
Kash ritorna in ospedale, ma ha la sensazione che siano un po’ contradditorie le frasi di Rahmatullah.
La mattina del 26 settembre un kamikaze si fa esplodere contro un’auto che entra nella sede del Governatore.
18 persone uccise e 20 ferite.
Arrivano forze di polizia, esercito afghano ed anche soldati inglesi.
Kash fotografa ciò che può ed il giorno dopo telefona a Rahmatullah e gli chiede di usare la connessione di Emergency per trasmettere le immagini.
Hanefi chiama il tecnico che gli fornisce il cavo di collegamento, la password di accesso alla rete e in qualche ora le foto vengono trasferite on-line.
Poi lo invita a pranzo nella stanza accanto, ma Torsello, ligio al Ramadan, rifiuta e fuma solo un paio di sigarette.
Poi ritorna in ufficio. Si accorge che al suo computer c’è il tecnico di Emergency, che vi rimane ancora qualche secondo e quindi va via, senza dire nulla.
Dopo circa una settimana, ritorna, ma questa volta il guardiano gli dice non solo di lasciare le attrezzature fotografiche, ma anche il computer portatile.
Per leggere la posta Hanefi gli presta il suo.
Torsello si accorge che alcuni messaggi ricevuti sono già stati aperti e lo fa presente ad Hanefi, ma quello gli risponde che se nessuno conosce la sua password, saranno stati gli americani.
I servizi segreti però non lasciano traccia, quando lo fanno.
Alcuni giorni dopo incontra il coordinatore di Emergency, il dottor Marco Garatti.
A lui chiede di poter fotografare il lavoro di Emergency e di poter usare la loro connessione internet.
Riceve risposta negativa per la prima e per l’altra.
Rahmatullah gli dice che se ne assumerà personalmente la responsabilità, quando però lo staff internazionale va via.
Per 3 settimane rimane a Lashkar-Gah, poi decide di andare a Musa Quala, distretto controllato dai Taliban..prenota un posto su un taxi e parte.
Le strade sono polverose e dissestate, i villaggi deserti, i muri crivellati di proiettili, pezzi di artiglieria abbandonati lungo il percorso, alberi dove, gli dice l’autista, sono stati impiccati dei soldati occidentali.
Attraverso peripezie impensabili, ma fortunose, Torsello fotografa, fotografa e annoda anche qualche rapporto, che gli permette di guardare ciò che agli altri non è consentito.
Una mattina Mohammed, l’anziano del villaggio di cui è ospite, gli dice di lasciare Musa Qala e Torsello obbedisce.
Riesce a raggiungere Girishk e a ritornare a Lashkar-Gah.
Rassicura Marina di Emergency con un sms e chiama Rahmatullah per chiedergli di utilizzare la connessione internet di Emergency per caricare le nuove foto sul suo server.
Gli dice che da loro hanno dei problemi di connessione, di portare il suo computer e di passare dall’ingresso laterale. Così fa.
Acceso il computer , le immagini di Musa Qala scorrono davanti agli occhi stupiti dei suoi ospiti: nessun occidentale è mai entrato in quella zona e meno che mai ha potuto fotografare!
Torsello ha bisogno di riempire il suo portafogli e dice di voler andare a Kandahar o a Kabul, dove potrà dedicarsi all’editing e piazzare quelle foto esclusive sul mercato.
Torsello decide sempre all’ultimo momento il mezzo e l’ora della partenza, ma questa volta si fa convincere da Rahmatullah a prenotare un biglietto per l’autobus di linea dell’indomani.
Al momento dei saluti c’è un “forse” di troppo nel congedo di Rahmatullah: “ Ciao Gabriele, a presto, forse…”, un chiodo che è ancora oggi fisso nella mente di Kash.
Sono le 5.00 del 12 ottobre 2006.
È l’inizio di un incubo che durerà fino all’alba del 3 novembre, giorno in cui gli viene resa la libertà.
Kash Gabriele Torsello annota con la minuziosità e la precisione del cronista quei 21 giorni di prigionia, passati ad aspettare che accadesse qualcosa. Nel libro ci sono tutti i passaggi.
Gabriele Torsello nonostante la liberazione, il ritorno a casa, il silenzio della riflessione, la scrittura e la pubblicazione poi del libro, ha ancora dubbi e domande che lo assillano e cercano risposte.
Chissà se la nebbia che li avvolge sarà diradata…
L’unica e assoluta verità è che…. è vivo, circondato dall’affetto delle persone care, immerso di nuovo nei suoi progetti di lavoro.
Può godere della luce e del calore totale del sole, piuttosto che intravedere un raggio che filtra a malapena dal buco di un tetto..
Crispiano, 4 giugno ’12
Fonte: Comune di Crispiano