La forza delle parole del papa e il dolore dei migranti

Papa Francesco, la sua prima visita fuori dalle mura vaticane, ha deciso di farla per andare in mezzo a chi viene da più lontano di lui. Non dal punto di vista geografico, ma sociale. Ed è ciò che conta, perché in questa globalizzazione si sono ridotte le distanze chilometriche ma si sono approfondite a dismisura le diseguaglianze sociali. E’ stata una visita “privata”, per quanto lo può essere quella di un uomo perennemente sotto i riflettori, comunque sobria ed essenziale.
Nessuno dei suoi predecessori lo aveva mai fatto. A nessuno era venuto in mente che Lampedusa è il punto di congiunzione o di cesura tra due mondi. Quale delle due cose sia o possa diventare non sta scritto nelle carte geografiche e neppure nei trattati di diritto internazionale. Dipende da chi la abita e dai comportamenti di tutti, quale delle due Lampedusa può diventare, se bastione della fortezza Europa o prima stazione lungo il cammino della solidarietà e dell’inclusione.
La politica a questo non ha pensato. Anche in questo campo ha dimostrato di essere più indietro di un’organizzazione millenaria quale la Chiesa. Il papa non ha portato né promesso doni. Ha lanciato in mare una corona di fiori, perché raggiungessero quelle povere ossa spolpate dai sussurri delle onde delle profondità marine. Soprattutto ha parlato e le sue parole resteranno nella memoria. E costituiranno un monito anche per la Chiesa a non tradirle.
Ha parlato di “globalizzazione della indifferenza”. Una quasi rimembranza gramsciana, non possiamo sapere quanto intenzionale. Chi non ricorda l’odio per gli indifferenti proclamato dal grande intellettuale comunista italiano! Ha parlato di chi preferisce le “bolle di sapone” alla vita. Un riferimento ancora più chiaro alla ingordigia della speculazione, alla crudeltà delle bolle finanziarie, alla spietatezza delle conseguenze quando esplodono, che ricadono sempre e soltanto su chi ha meno. Ha elevato un monito contro le elites oligarchiche e tecnocratiche che governano l’Europa e il mondo, insensibili alla ragione della speranza in una vita migliore e persino in una sopravvivenza più tranquilla, che spinge centinaia di migliaia di persone a sottoporsi a viaggi massacranti e spesso letali, chinando il capo di fronte ai mercanti di carne umana, non trovando o non avendo alternativa alcuna.
Ha citato l’antico e il nuovo Testamento in questa breve visita, papa Francesco, ma lo ha fatto scegliendo quei passi nei quali il Dio dei cristiani duramente li interroga sulle sorti dei loro fratelli più sfortunati, umiliati, sfruttati, dispersi o uccisi. “Adamo dove sei?”, “Caino, dov’è tuo fratello?”, domande antiche, forse eterne, che davanti a quel cimitero liquido e ondoso assumono un significato straordinariamente attuale e drammatico. Domande finora senza risposta.
Con la stessa semplicità con cui è venuto se ne è andato, non prima di avere ringraziato i lampedusani per la loro azione di carità a fronte dell’insensibilità e dell’assenza dello Stato. Vedendo le immagini della sua risalita sull’imbarcazione venivano in mente i celebri versi di un grande poeta ebreo, Paul Celan, che, pur traslandone il significato, ben si adattano in quel punto del nostro Mediterraneo in bilico fra civiltà e barbarie: “Il mondo non c’è più, io devo portarti”.

Fonte: Vito Trisciuzzi – Presidente Comitato ARCI Valle d