Riceviamo e pubblichiamo Dalla tv per anni hanno detto che il liberismo era una cosa bellissima. Che quando a decidere sarebbe stato solo il mercato, tutto avrebbe funzionato meglio. Che la globalizzazione era una cosa stupenda, e i no-global erano solo dei fanatici. Che era giusto che pochi si arricchissero, a discapito di tanti. E mentre la gente si lasciava ammaliare da queste sirene, il mercato avanzava, il mondo cambiava, il lavoro si trasformava. La concorrenza diventava sempre più spietata. E invece di esportare i diritti, abbiamo rincorso la precarietà di altre realtà planetarie. Adesso per migliaia di lavoratori dell’Ilva si prospetta un regresso delle condizioni lavorative. Che comporterà un ulteriore impoverimento di una terra, le cui prospettive sono sempre più nere. Una terra in cui i giovani avranno, per tanto tempo ancora, sempre meno possibilità di impiegare le loro capacità e i loro talenti. E ad oggi, alternative serie all’industria siderurgica, alternative per impiegare tutti questi lavoratori non ce ne sono; se non nei sogni di qualcuno. Tutto questo, mentre il territorio è stato compromesso gravemente con l’inquinamento, grazie alla negligenza, all’egoismo e alla corruzione di tanti. Cornuti e mazziati. Forse l’abbiamo già scritto, ma il dialogo di Totò e Enzo Turco in “Miseria e nobiltà” oggi risulta essere, tristemente per noi, l’amara attualità: – Qua si mangia pane e veleno. – No Pasqua’… solo veleno! Ora è il momento di mettere da parte le proprie ambizioni, le proprie presunzioni, le proprie barriere mentali. Ora è il momento di stare tutti da una parte: la parte dei lavoratori dell’Ilva e delle imprese dell’indotto. Fosse anche solo per motivi egoistici. Se diminuiscono i loro diritti, aumenta la precarietà di tanti altri, intorno a loro. Se si impoveriscono loro, ci impoveriamo tutti quanti.
Fonte: Paese Futuro