Crispiano 1919 – “Com’eravamo” (Quello che le cronache non hanno scritto)

Dopo circa vent’anni di ripetute istanze per ottenere l’Autonomia Comunale, nell’anno di “Grazia” millenovecentodiciannove il quattordici di novembre, il Re Vittorio Emanuele III firmava il Regio Decreto.

Agli inizi del secolo XX, diversi abitanti crispianesi, vivevano ancora nelle grotte a ridosso del Vallone Lezzitello attraversato da undici ponti, collegando il rione Crispianello, alla nuova Crispiano che si espandeva intorno alla Chiesa Madre riedificata dopo il  suo crollo del 1894.

 Le nuove costruzioni furono realizzate con i manufatti in tufo ricavati dalle cave di Carucci/ Fanelli, dove squadre di “Zùccatòr” * (cavamonti) con la schiena ricurva per intere giornate, singolarmente, riuscivano a estrarre circa settanta blocchi di centimetri 25x18x50. Quasi tutte le abitazioni furono costruite con l’immancabile “ Scuirte” (piccolo atrio) utilizzato per stendere la scarsa biancheria e, i pantaloni di “ Rjatène”. (antesignani dei massificanti “Jeans”.) Nel piccolo giardino adiacente alla casa, c’era il rifugio del compagno di lavoro (l’Asino o il Mulo) oltre al deposito di fascine di legna; l’Arète de zippre, il Basto.

Nei primi anni del novecento la raccolta dei rifiuti liquidi era gestita dal sig. Leggieri, che percepiva dal Comune di Taranto la somma di lire diciassette mensili, che riscuoteva andando a piedi dalla frazione di Crispiano a Taranto. Il sig. Vito Colucci nel 1923, scolaro dell’insegnante Pasquale Mancini divenuto 1° Sindaco, eseguì un disegno come progetto per eliminare i depositi adibiti a “ Stagghjère” (le concimaie) che esistevano numerose lungo il vallone Lezzitello, pertanto, l’alunno ricevette per compenso due pennini usati per intingere l’inchiostro per scrivere. Il Crispianese del 1919, di aspetto longilineo con i baffi e di carattere mite, da modesto contadino parlava la lingua madre: “U Crespiànèse”. Esempio di laboriosità, curava la sua terra seminando grano, legumi, e l’orzo, graminacea dai multi uso: tostato sostituiva il caffè, o utilizzato per decotti. La paglia “Resc^ène” (di buona scelta), si adoperava per riempire (U Saccòne) il permaflex non era stato ancora inventato. Il contadino del 1919, seminava “ a Vammèsc^e” (pianta di cotone) che la sua dolce compagna filava per poi tessere a “ u Tulère”, e, con la lana “ Carbellèse”( Mèlange)  confezionava  le maglie intime indistruttibili.

Una notissima canzonetta del 1919, parlava di donne vestite di pois e di scifòn ma, le belle donne crispianesi, avevano capi unici, solo per il loro numero.  (Valentino e Armani non erano stati ancora concepiti).

Subito dopo ottenuta l’Autonomia, si formò il 1° Gruppo Bandistico diretto dal M° Martino Bello, tutte le domeniche si esibivano in piazza attorniato festosamente da bambini e adulti. Nel 1919 senza decine e decine di pollici tv, le famiglie si riunivano allegramente per trascorrere qualche ora di serenità: un tamburello, un mandolino e, con un’improvvisata Mazurka, si creava la felicità. Com’eravamo nel 1919!

 * (” Zuccator” onomatopèico del rumore che “ u Zùcch” produceva nel fendere i blocchi in tufo.

Foto: 1919 –   trasporto con il Basto

Qui e Ora Due Occhi Belli Crispius – Francesco Santoro