Il Sogno di Zaher al Teatro Falanto

“Il lavoro di questa sera è un lavoro breve ed è di parole e musica. È un testo che io ho scritto qualche anno fa profondamente addolorata da una notizia di cronaca che avevo letto e da qui è nato il Sogno di Zaher che non vi sto a raccontare, lo faccio raccontare dai ragazzi”.

Chi parla è la professoressa Enza Messina ed i ragazzi sono venti studenti del Liceo Aristosseno di Taranto, del gruppo teatrale “Aristosseno Drama Club”. Siamo al Teatro Falanto della Parrocchia Madonna delle Grazie che don Pino Calamo ha messo ancora una volta a disposizione per eventi culturali.

La notizia di cronaca, a cui Enza Messina faceva riferimento, riportava la morte di Zaher Rezai, un giovanetto di 17 anni nato in Afghanistan, avvenuta il 10 dicembre 2008 a mezzanotte, sbalzato dal cassone del Tir dove si era legato dopo essere sceso da una nave arrivata dalla Grecia, finito sotto le ruote dello stesso Tir alla periferia di Mestre.

Oltre al suo corpo maciullato quello che rimase di Zaher, tutto contenuto in un sacchetto trasparente, fu un uccellino bianco e nero in plastica, una specie di rondine, un leone, una giraffa, un’alce, un foglio di espulsione dalla Grecia con la foto di un ragazzo con un grande ciuffo, una scheda telefonica, e i fogli scritti di un’agendina con le parole di una poesia commovente e tristissima: “Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino, ma promettimi, Dio, che non lascerai finisca la primavera”.  

“Tanto ho navigato, notte e giorno, sulla barca del tuo amore, che riuscirò alla fine ad amarti, o morirò annegato”. Anche questi sono suoi versi, Zaher scriveva poesie in continuazione. La sua sensibilità era un urlo che usciva dai fogli di block notes da lui scritti.

Scriveva di sogni e di speranze, frasi d’amore e amicizia, i suoi desideri erano forti, voleva una nuova vita: “Tu porti il profumo delle gemme che sbocciano, sei come un fiore di primavera, è dolce il tuo affetto, amo parlare con te, Tu sei un amico incantevole, sei una seta di passione e bellezza”.

“Questa opera è dedicata ai Mohamed, Marian, Alì, Soarez, Ionel, Zaher, ragazzi ai quali la vita non ha sorriso, morti mentre inseguivano un sogno –  sottolinea Enza Messina, che ha curato oltre ai testi, la regia – una serata di parole e musiche dedicate al Sogno, che ci consente di guardare avanti, anche quando sembra che la vita ci abbia pugnalato più del dovuto”.

Sin dall’antichità la musica è stata considerata come quell’arte sublime in grado di poter avvicinare l’uomo ai margini dell’infinito, di esprimere l’inesprimibile, di raccontare o svelare le naturali sensazioni, emozioni e aspirazioni, in connubio con le parole e oltre le stesse parole.

Lo spettacolo è riuscitissimo, i giovani interpreti, siano essi stati, cantanti, lettori, attori o ballerini,  si sono rivelati eccelsi, sia nelle loro singole performance che di gruppo, ben amalgamati dalla regia di Enza Messina, e coadiuvati dal tecnico audio Andrea Sperti.

Il Sogno ha cominciato ad invadere le menti e  le anime degli interpreti e degli ascoltatori, dall’inizio dello spettacolo fino alla fine.

L’armonia delle parole dei testi letti o recitati, e i brani musicali, egregiamente scelti ed eseguiti, ha elevato il pensiero e lo spirito, innalzandoli e allontanandoli dal presente, in una apoteosi crescente.

L’attenzione ha perso i propri punti di riferimento e il Sogno ha finito sempre più per  unire tutti, interpreti e ascoltatori, entrambi legati da un destino, da una gioia e da un entusiasmo comune, incontenibili, particolarmente evidenti alla fine dello spettacolo.  

Vito Piepoli