Settanta anni fa, mentre il campo di Auschwitz era già stato liberato dalle truppe dell’Armata rossa, Giovanni Palatucci era alla fine dei suoi giorni a Dachau, altro campo di sterminio che sarebbe stato liberato solo quattro mesi dopo dalle truppe americane. Il 70.mo anniversario della morte dell’ex questore di Fiume, avvenuta il 10 febbraio 1945 a seguito di un’epidemia di tifo petecchiale, passerà senza grandi clamori ma è nostro dovere ricordare Palatucci dato che da alcuni anni Crispiano gli ha intitolato un vico, quello situato alle spalle della scuola “Giovanni XXIII”, volutamente posto accanto a via Fiume, una delle località in cui Palatucci rese il suo servizio.
Giovanni Palatucci nasce a Montella (Avellino) nel 1909 in una famiglia dalle salde radici cristiane (ha tre zii francescani, uno diventerà vescovo). Conseguita la laurea in Giurisprudenza a Torino nel 1932, rinuncia alla professione forense per entrare come funzionario nella Polizia di Stato, mosso dal profondo bisogno di mettersi al servizio del prossimo. Appena ventisettenne, viene assegnato alla questura di Genova e poi a quella di Fiume, città istriana ai confini della penisola: qui assume la direzione dell’Ufficio stranieri. Dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali che espongono gli ebrei alla persecuzione, costringendoli alla diaspora, Giovanni Palatucci, insieme ad un manipolo di fidati collaboratori, fa di tutto per ritardare o disattendere gli ordini che gli vengono impartiti dall’alto, finalizzati alla sistematica oppressione degli ebrei. Così riesce a stendere, con abilità e coraggio, una rete di assistenza a favore dei profughi ebrei provenienti dall’Europa centro-orientale, ormai occupata dalle truppe tedesche. E’ stato calcolato che almeno cinquemila ebrei (ma il numero sale di certo dopo l’armistizio dell’8.9.1943) furono così sottratti miracolosamente alla deportazione nei campi di sterminio nazisti e quindi a morte certa. Grazie all’intervento costante e temerario di Giovanni Palatucci, altre decine e decine di profughi vengono muniti di permessi di soggiorno o di documenti di riconoscimento falsi per poter raggiungere più agevolmente la Svizzera, la Palestina (allora sotto protettorato inglese) o le coste pugliesi, già in mano alleata. In questo il poliziotto avellinese non è solo: suo zio, il vescovo Giuseppe Maria Palatucci, vescovo di Campagna (Salerno) asseconda i progetti segreti del nipote, accogliendo nel campo d’internamento allestito proprio a Campagna (oggi visitabile e stabilmente eretto a Museo con migliaia di foto e testimonianze su Giovanni Palatucci) le centinaia di profughi di religione ebraica che Giovanni continuamente gli raccomanda. Dopo l’8 settembre ’43 Fiume, come del resto tutta l’Italia, piomba nel caos più assoluto. Il questore di Fiume si dà alla macchia, Palatucci ne assume il posto, più che mai determinato a salvaguardare la dignità e il prestigio delle sue funzioni e a provvedere per la salvezza di quanti reclamano il suo aiuto. Ad uno dei suoi più stretti collaboratori che lo aveva esortato a scappare da Fiume per mettersi finalmente in salvo, Palatucci, indicando la bandiera italiana, risponde: “Dite a tutti gli amici che fin tanto che sventolerà quel tricolore io rimarrò qui al mio posto” (estate 1944). Sospettato dalla Gestapo, forse tradito da qualche delatore, è tratto in arresto con l’accusa di tradimento e rinchiuso nel carcere di Trieste, dove attende serenamente di essere giustiziato. La condanna a morte, tuttavia, gli viene commutata in deportazione e nell’ottobre del ’44 è trasferito nel campo di sterminio di Dachau (Baviera). Quattro mesi di stenti e di sevizie bastano a fiaccare definitivamente la resistenza di questo indomito poliziotto 36enne, che muore il 10 febbraio 1945. Il suo corpo viene precipitato in una fossa comune insieme a quelli di altre centinaia di ebrei. In vita e in morte Palatucci, fervente cristiano, terziario francescano, rimane dunque solidale con i figli di Israele. Appena poche settimane dopo gli alleati libereranno il campo di Dachau. Già nel 1953 a Tel Aviv gli vengono intitolati un parco e una strada, lungo la quale sono piantati 36 alberi, uno per ogni anno della sua giovane esistenza. Il 10.2.1955, nel decennale della sua morte, gli viene intitolata un’intera foresta della Giudea, non distante da Gerusalemme. Pochi mesi dopo, l’Unione delle comunità israelitiche italiane gli tributa la Medaglia d’oro alla memoria. Nel 1990 è riconosciuto e iscritto col massimo titolo nell’albo dei “Giusti tra le Nazioni”. L’Italia non può più ignorarlo. Lo “Schindler irpino” viene ricordato in diverse città, a iniziare dalla sua Montella (Av). Il presidente Oscar Luigi Scalfaro gli conferisce nel 1995 la Medaglia d’oro al merito civile. In seno alla Polizia di Stato nel 1999 viene fondata l’Associazione “Giovanni Palatucci”. Giovanni Paolo II, durante il Giubileo del 2000, inserisce Palatucci tra i martiri del Novecento. Due anni dopo il cardinale Camillo Ruini apre ufficialmente la procedura della causa di beatificazione di Giovanni Palatucci, tuttora in corso e affidata al postulatore padre Franco Stano, sacerdote clarettiano. Il grande pubblico inizia a conoscere il questore di Fiume grazie al film di Fabrizio Costa “Senza confini”, nel quale Palatucci è interpretato da Sebastiano Somma, trasmesso dalla Rai nel 2001 e più volte replicato. Altre importanti trasmissioni su Palatucci sono state lo “Speciale – Chi l’ha visto?” e “La storia siamo noi” di Giovanni Minoli, tuttora reperibili in rete.
Fonte: Don Michele Colucci