Il 14 Dicembre di 92 anni fa il Comune di Crispiano, per Regio Decreto, raggiunse l’Autonomia Amministrativa, affrancandosi da Taranto, di cui era frazione.
Per ricordare quella data ed ancora nell’ambito delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, il Comune di Crispiano, l’Assessorato alla Cultura, la Biblioteca Civica “ C. Natale “ hanno proposto, il 14 dicembre 2011 una riflessione sugli eventi e sui protagonisti che caratterizzarono gli ultimi anni dell’800.
“La data odierna – ha detto il Sindaco dottor Laddomada nel suo intervento di saluto ai convenuti – è occasione importante per ricordare il cammino percorso dai nostri progenitori e particolare attenzione meritano gli Studi del territorio, che mirano non solo ad informare, ma anche a divulgare, soprattutto nei giovani, quel patrimonio di storia locale che altrimenti rimarrebbe sconosciuto”.
Sull’antico agglomerato demico di Crispiano, unitamente a quello di Alberobello e Villa Castelli, da sempre si interessano i collaboratori della prestigiosa rivista, pubblicata a Martina Franca ”Umanesimo della Pietra”, diretta e coordinata dal dottor Domenico Blasi, che, del tema della serata: Crispiano nelle ultime pagine di “ Riflettori – Umanesimo della Pietra”, è stato relatore.
Il dottor Blasi ha puntualizzato che gli studi del Gruppo Umanesimo della Pietra non si estendono alle città, ma si riferiscono, approfondendoli, al territorio, anzi, alle trasformazioni del territorio.
Un ottimo saggio del prof. Caprara su “siti e iscrizioni a Crispiano e dintorni nel panorama rupestre del tarantino”, che apre ad ulteriori occasioni di studio è presente nel numero unico di Luglio 2011, mentre, nel numero di luglio 2009, il prof. Angelo Carmelo Bello, lo storico per eccellenza del Comune di Crispiano, che per l’occasione ha coordinato gli interventi della serata celebrativa, presenta un approfondito studio sulle ”masserie storiche dei Desiati di Martina nel territorio comunale di Crispiano”.
Nel volume allegato al numero di luglio si parla poi, con prefazione dello storico prof. Mario Guagnano, di “ Insorgenti e briganti tra le Murge e il Salento “.
In esso, che è pubblicazione anastatica nel riguardo dei testi ed edizione riveduta e corretta rispetto all’apparato iconografico, sono documentate le vicende di tanti giovani uomini e donne, che, alla fine del 1800, furono costretti a emigrare o dovettero soccombere e subire la perdita della vita o della libertà a causa di una situazione politica e sociale che li privava di ogni diritto, per condizioni di miseria e di ignoranza in cui versavano.
La diversificazione dei ceti, nella società di allora era netta sin dal 1600: l’abbiente borghesia agraria con tutti i privilegi e la massa dei braccianti oberata di lavoro e priva di ogni diritto.
Neanche l’Unificazione d’Italia riuscì a riequilibrare in qualche modo la situazione.
Le forze franco-piemontesi illusero e delusero i contadini, mentre la borghesia meridionale si rinforzava più di prima.
I braccianti esasperati decisero di farsi giustizia da soli e diventarono briganti, chi per sfuggire alle costrizioni della leva, valide solo per i poveri contadini, chi per ribellarsi alla miseria, che neanche il nuovo regime, cosiddetto “ liberale “, aveva alleggerito.
La legge Pica, approvata d’urgenza dal Senato nell’agosto 1863, per un verso soppresse i focolai di lotta, per un altro inasprì i pochi gruppi rimasti, che si trasformarono in veri e propri delinquenti, dediti a razzie e ad omicidi.
Accadde così anche per Pizzichicchio, alias Cosimo Mazzeo di S. Marzano, che proprio a Crispiano aveva una delle sue basi.
A Belmonte la sua banda fu annientata con una azione combinata dei Cavalleggeri di Saluzzo, dei Carabinieri della Guardia Nazionale.
Mazzeo riuscì a fuggire, ma l’anno successivo, 1864, fu catturato presso la Masseria Ruggeruddo e fucilato dopo il processo di Potenza.
Sul brigantaggio e sul brigante Pizzichicchio, il prof. Angelo Carmelo Bello ha condotto uno studio in via di pubblicazione.
“ Certo una Costituzione in cui riconoscersi era necessaria – ha detto il dottor Blasi – e l’unità si doveva fare.
La figura di Garibaldi, nella complessa situazione economico-sociale del Sud, fu la speranza di emancipazione e di giustizia”.
Gli interessi di parte però delusero le aspettative delle masse contadine che, nonostante l’avvento di una Costituzione formalmente unitaria, lasciarono insoluta quella che la storia definisce “ questione meridionale”, per la quale paghiamo ancora le conseguenze.
L’Italia si fece per la “via obliqua” di Cavour e non per la “via diritta” che Mazzini aveva sognato.
Articolata e vivace è stata la dissertazione del dottor Blasi, che, alla narrazione delle vicende storiche nazionali ha legato quelle del nostro territorio, dei nostri padri, sottolineando che la conoscenza della propria identità culturale dovrebbe consentire di non ripetere gli stessi errori “ ma di analizzarli e superarli.
Proprio in quest’ottica, le sue riflessioni hanno sollecitato vari ed interessanti interventi da parte del pubblico presente, che, nelle parole del dottor Blasi, ha ritrovato personali testimonianze e proprie conoscenze.
Fonte: Anna Sorn