Mercoledì 12 novembre è passata da Statte la dodicesima edizione della Carovana nazionale Antimafie, organizzata da Libera, Arci e Avviso Pubblico, un lungo viaggio di oltre due mesi lungo tutto lo stivale italiano.
Eclatante, non casuale, la scelta di Statte come tappa successiva a quella del capoluogo Taranto. Si è trattato di un fatto rilevante per tutta la provincia, eppure se ne sono accorti in pochi. All’iniziativa di mercoledì scorso, che si è tenuta nella Biblioteca civica stattese, hanno partecipato una settantina di persone, aula piena ma dei soliti utenti di quella istituzione culturale con alcune aggiunte dai comuni vicini come Taranto, Crispiano e da alcuni paesi del versante orientale della provincia gravati da troppe discariche. Molto resta da fare per coinvolgere i cittadini ad occuparsi in prima persona del proprio diritto alla vita.
Quest’anno la Carovana, che ha per sottotitolo “In viaggio per i diritti, la democrazia, la giustizia sociale”, sta ponendo l’accento sul sessantesimo anniversario della Costituzione e della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Specie quelli negati ai cittadini. A Taranto, capitale mondiale della diossina, non si poteva che parlare della violazione del diritto basilare alla salute e ad un ambiente sano. Diritti che dovrebbero essere inseriti nella Carta costituzionale e invece si stenta a far applicare.
Sull’inquinamento, sull’Ilva, sulle discariche legali ed abusive sono intervenuti all’incontro di Statte Angelo Miccoli, sindaco dell’omonimo comune, il responsabile Ambiente per Libera Taranto, Giancarlo Girardi. E ancora, Gemma Leotta responsabile di Arci-Ambiente, Annamaria Bonifazi e Lorenzo Cazzato. Si susseguono gli interventi, sottotraccia la domandina semplice e gravissima è sempre la stessa: si può chiedere a Taranto lavoro senza dover rinunciare alla salute? Dipende anche dal comportamento dei tarantini: “Bisogna vincere l’apatia della gente di Taranto”, incalza Giancarlo Girardi che accusa di arroganza padron Riva: “Se i tarantini non sono più padroni a casa propria, neanche quel signore deve sentirsi libero di fare quel che vuole in questo territorio”.
“Nella scuola – sostiene Annamaria Bonifazi di Libera, ndr – bisogna battere sull’educazione ambientale”. Diversi i passaggi interessanti: i mass media nazionali mai come ora si sono occupati tanto, e in così poco tempo, della collassante situazione ambientale tarantina e della famosa-famigerata Ilva, che “per carità, non è l’unico grande inquinante”. Il punto è che nessuno, o quasi, crede nel ‘cambiamento’: l’ipotesi di chiusura dello stabilimento non viene né citata, né tantomeno invocata. Le prove tecniche di atterraggio di emergenza, quando prima o poi l’Ilva non ci sarà più, è rinviata a data da destinarsi. Anche se sarebbe l’unico modo per cominciare ad uscire dalla dipendenza dall’acciaio. Con un occhio ai prossimi venti anni.
Dopo l’intervento degli ospiti la Biblioteca di Statte si è tuffata nel coraggioso documentario “Biutiful Cauntri” di Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Giuseppe Ruggiero (distribuito in Italia da Lumière & Co. dal marzo scorso, durata 73 minuti). L’inchiesta, girata con un ritmo incalzante come un reportage di guerra, che ha ricevuto una menzione speciale allo scorso Torino Film Festival ed è stato accolto positivamente dalla critica francese, fa luce sull’emergenza rifiuti nella zona partenopea. È Napoli, ma sembra Taranto: allevatori che vedono morire le proprie pecore e capre (espiatorie) per la diossina o che devono farle abbattere per ordine superiore. Un educatore ambientale che lotta e bestemmia contro i criminali dell’ambiente nella zona di Acerra. Contadini che coltivano le terre inquinate nei pressi delle discariche, solo che loro c’erano già, così come i loro padri. Sono le discariche che nel frattempo hanno colmato vecchie e nuove cave come funghi. Biutiful Cauntri suscita scandalo testimoniando il massacro di una porzione densamente abitata del territorio italiano. Sullo sfondo la camorra imprenditrice, i colletti bianchi compiacenti, l’imprenditoria malandrina, le istituzioni colluse (“tutti gnottono”, molti mangiano nel grande business dell’ecomafia, dice un pecoraio stanco di subire). Un magistrato svela i meccanismi delle discariche abusive che provocano più morti di qualsiasi fenomeno criminale.
Finale del documentario: i registi citano le migliaia di discariche abusive sparse in Campania. Dal 1998 giace in Parlamento un disegno di legge per inserire i delitti ambientali nel codice penale. Forse perché smuovere la merda non conviene: si sentirebbe maggiormente la puzza.
Fonte: Cataldo Zappulla