E’ pervenuto dall’Istituto Statale di Istruzione Secondaria Superiore, con indirizzo Tecnico (I.T.C.) e Professionale (I.P.S.S.A.R.) di Crispiano, una nota del dirigente prof. Ing. Giuseppe Achille, la quale invia una copia dle primo numero del giornale scolastico, realizzato nel Piano dell’Offerta Formativa 2007-2008.
“La pubblicazione – scrive Achille nella presentazione dell’«Isiss Gazzetta» – nata dall’esigenza di raccordo e continuità educativa e progettuale, fra alunni appartenenti alle varie classi, risulta particolarmente significativa in quanto solo di recente i ragazzi si sono cimentati in questa esperienza comunicativa che con orgoglio intendono socializzare. L’attività coordinata dai docenti referenti, è stata vissuta con entusiasmo dagli studenti e risulta utile strumento educativo, di partecipazione alla vita della collettività scolastica e espressione di positivi valori di riferimento. Nel mio primo anno di lavoro presso l’I.S.I.S.S. di Crispiano – credo mi corra obbligo partecipare a tutta la comunità scolastica, la mia visione della scuola, e della sua missione, nell’ambito delle numerose e alterne proposte di riforma avanzate dai ministri negli ultimi tempi. Nel 1987, l’Istruzione professionale, ridisegnando i suoi quadri orario e ridefinendo i programmi didattici, lasciava un monte ore annuo nel quale ciascuna scuola, in accordo con gli enti e con le realtà produttive, doveva progettare un curricolo biennale per la formazione di figure professionali legate alle richieste del territorio. Iniziava così un processo di riflessione e di revisione critica della scuola superiore italiana che sfociava, attraverso numerose sperimentazioni, volute e create dal centro (Progetto Brocca, Progetti Assistiti, Progetto 2002, ecc.) e sotto varie spinte anticentralistiche, nell’attuale “autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo” (D.P.R. 275/99). Il dibattito apertosi sull’argomento è stato, ed è ancora, ampio ed articolato, investendo vari aspetti della vita scolastica. Queste note vogliono essere le modeste opinioni di un operatore della scuola che crede nel proprio lavoro, e, al contempo, vogliono stimolate, all’interno del nostro istituto una discussione che ci aiuti a chiarire alcuni aspetti, tutt’ora non da tutti condivisi, dell’autonomia scolastica. Un primo punto, riguardo un aspetto molto controverso della nuova filosofia scolastica, e cioè quello che considera la scuola intesa come azienda. E’ fuor di dubbio che la scuola non possa essere propriamente identificabile in un’azienda, dalla quale troppe cose la distinguono: non ha e non può avere come fine il profitto economico, non può investire esclusivamente in termini monetari, non può effettuare scelte basandosi sul solo criterio della pura efficienza, non ha un ciclo predeterminato di ammortamento degli investimenti, non può adottare per il personale il vincolo di fedeltà incondizionata alle scelte ed alla filosofia aziendale. “Tuttavia non si possano rifiutare considerazioni che accomunano scuola e azienda. Se è vero che la scuola non ricava un profitto economico dai suoi investimenti, ciò non giustifica, tuttavia, un suo uso antieconomico, né l’indifferenza per il rapporto costi/benefici. Di qui l’obbligo di valutare i risultati ottenuti e di metterli a confronto con quelli attesi, e, quindi, la necessità di adotttare strumenti chiari e lineari per definire gli obiettivi e verificare i risultati. La cultura della valutazione è di fondamentale importanza nell’autonomia scolastica, in quanto, se una scuola etero-diretta può limitarsi all’adempimento passivo di procedure e compiti imposti dall’alto, una scuola autonomaa può esser tale solo se sceglie di valutarsi e di essere valutata, cioè di porsi sul mercato come impresa formativa e ne accetta, di conseguenza, le regole di concorrenza”.
“ Anche la libertà di insegnamento, argomento spesso usato per giustificare ed avallare l’autoreferenzialità della scuola – continua il dirigente scolastico – è cosa troppo seria e importante per evitare di confrontarsi con le carenze di professionalità o di deontologia professionale. Essa non può comportare, oltre alla sacrosanta libertà di scelta dei mezzi educativi e didattici, anche una sostanziale non responsabilità in ordine ai contenuti. Il docente è un professionista della didattica e come tale deve agire, rispondendo ad una committenza che legittimamente viene dall’esterno, attraverso sinoperate in sede nazionale e locale. Ai professionisti della scuola spetta interpretare tale committenza e tradurla in atti di insegnamento, non rifiutarla in nome di una totale autoreferenzialità: non esistono professionisti committenti di se stessi. Ritengo, quindi, che la scuola ha caratteri riconducibili ad una resa formativa, in quanto: deve adattare le proprie strutture organizzative alle esigenze di miglior funzionamento, e non l’inverso, anche adottando i concetti di management diffuso e di learnig organization; deve essere guidata da un dirigente che fondi la propria professionalità sulla capacità suasoria e relazionale, oltre che sulle indispensabili conoscenze teoriche e normative; che sappia, cioè, gestire le risorse umane non meno di quelle finanziarie e strumentali, traendo da ciascuna di esse il massimo potenziale compatibile con le circostanze; si organizza in termini di diritto di accesso ai servizi sociali fondamentali, in quanto attinge principalmente alla leva fiscale ed utilizza quote di ricchezza prodotte altrove; cura le risorse professionali che possiede, operando in modo che si collochino sempre al livello più alto nel contesto in cui agisce; persegue sempre l’efficacia educativa, cioè impiega le risorse per conseguire al massimo possibile gli obiettivi educativi assegnati; offre risposte formative adeguate sia alla domanda dell’utenza consapevole, sia ai bisogni di chi non è in grado di formulare e manifestare necessità; rende conto, investendo risorse altrui per fini assegnati, dell’impiego fattone e dei risultati conseguiti. La scuola, quale impresa atipica, ha il dovere di dire, ai propri clienti-utenti che, in ambito educativo, il cliente non ha sempre ragione (essendo troppo grande e connaturata al rapporto didattico la differenza tra competenze specifiche tra chi insegna e chi apprende) e che, in una logica formativa, il cliente-utente ha sì il diritto di concorrere a definire gli indirizzi generali, ma non gli strumenti operativi né le scelte di natura tecnico-professionale”.
“Tuttavia – conclude l’ing. Achielle – questo dovere, come tutti i doveri costituenti una situazione di privilegio, costituisce anche una grande responsabilità sul piano dell’etica professionale, responsabilità della quale occorre essere e mantenersi sempre all’altezza”.
Fonte: Michele Annese