Crispiano, 27 gennaio 2019
Organizzato dall’Azione Cattolica della Parrocchia Santa Maria Goretti di Crispiano, si è svolto l’incontro, molto apprezzato, “Non è uno scherzo!”, strategie per riconoscere ed intervenire sul fenomeno del bullismo.
Famiglia, Chiesa, Scuola devono collaborare, vigilare e intervenire, ma soprattutto devono educare, se vogliamo una società sana.
Ha coordinato l’assemblea il presidente dell’Azione Cattolica Michele Greco. Nel suo saluto, il Parroco don Cosimo Damiano Rizzo ha sottolineato la necessità prioritaria per gli adulti di ascoltare i ragazzi, e comprendere le dinamiche nascoste delle loro relazioni. Nessun paese deve sentirsi un’isola felice, spesso i ragazzi sono costretti a vivere in situazioni difficili, di fronte a cui gli adulti o banalizzano o ingigantiscono tragicamente. Un problema emerso nelle confessioni, dove, nella loro ingenuità i bambini sono un libro aperto. Bambini che a volte hanno parlato con qualcuno e a volte hanno affrontato da soli.
La Parrocchia, grazie alla sensibilità degli educatori e dei catechisti segue con attenzione particolare i ragazzi rientranti nella fascia d’età, 12-14 anni, ma spesso questi adolescenti percepiscono la superficialità, l’impreparazione dell’adulto a saperli accogliere ed ascoltare.
L’avv. Antonella Notaristefano, mediatrice famigliare, ha parlato di cyberbullismo, illustrando le insidie nascoste nella comunicazione web. Oggi l’educazione famigliare è lacunosa, i genitori sono assenti o poco presenti, o molto permissivi, quasi a giustificare, per un senso di colpa, la loro carente presenza, mentre i ragazzi, nativi digitali, passano diverse ore della giornata navigando in rete, a cui accedono facilmente. Questo abuso di internet causa dei danni fisici e psicologici, sviluppa un autismo virtuale, i ragazzi si isolano dalla realtà esterna, diventano incapaci di osservare, di curiosare, di conoscere, di realizzarsi. I genitori spesso ignorano le insidie e i rischi di questa dipendenza dal web dei loro figli. Non comprendono che approcci non gestiti dal punto di vista emotivo, portano a una devastazione della persona nell’adolescente. Vengono divulgati in rete video che istigano al suicidio, che spingono all’emulazione; circola in rete materiale pedepornografico a cui il ragazzo accede facilmente, condividendo i contenuti e subendone gli adescamenti, soprattutto notturni, quando è più facile carpire la fiducia e ricattare il minorenne. Il legislatore è intervenuto con la legge 71 sul cyberbullismo, tutelando le vittime di questa condotta vessatoria, ma anche i responsabili, “i bulli”, che spesso sono minorenni, vittime a loro volta di bullismi reali, che attraverso il web tentano una forma di riscatto. A questi il legislatore propone degli ammonimenti, per evitare il rischio di entrare nel circuito penale e per capire le conseguenze di una condotta scorretta. Stolking, atti persecutori, molestie, diffamazioni; divulgazione di materiale pedepornografico, sono reati. Occorre una presenza, una partecipazione, un’attenzione attiva e consapevole delle agenzie educative, spesso distratte.
La dirigente scolastica dott.ssa Anna Sgobbio ha rivolto l’attenzione alla funzione educativa che famiglia, scuola, parrocchia dovrebbero svolgere, pur diversificando le strategie, per raggiungere il medesimo obiettivo: migliorare l’individuo e, attraverso gli individui, la società. La scuola è sempre stata un luogo in cui la competizione entra di diritto: il rapporto docente-discente si misura in voti (da 1 a 10) e nei giudizi; nella scuola è più facile che si verifichino episodi di bullismo. La scuola però è anche il luogo della formazione, in essa si insegnano alcune regole di comportamento e il rispetto per esse. I ragazzi che non si comportano bene possono apparire “strani” agli occhi dei coetanei, cioè “non normali”. Scherzi violenti e occasionali tra ragazzi ci sono sempre stati, in classe, fuori dal portone, poi si “faceva” la pace e le sgridate, le punizioni, venivano condivise dalle famiglie. Oggi i traumi nascono in famiglia, dove le regole di comportamento non sono rispettate, dove l’iperprotezione giustifica anche le scorrettezze, dove il bullo nasce e si alimenta, dove il debole non impara a crescere, dove sarà sempre colpa del tavolo, se il bambino ha urtato la testa allo spigolo. Purtroppo oggi i genitori, impegnati nel lavoro o nella realizzazione sociale, sono poco presenti nella vita dei figli, a ciò si aggiunge l’impossibilità a controllare le loro relazioni con il mondo esterno: se prima i figli giocavano sicuri, in cortile, sotto l’occhio vigile della famiglia e prima di sera rientravano, oggi al contrario escono di sera e la notte vivono, navigando in rete. La paura di non poter controllare spinge i genitori al protezionismo, e chiudere i figli in una gabbia dorata, a difendere il recinto da ogni attacco. Così facendo il bambino non imparerà mai a difendersi, a rialzarsi dopo una caduta, a inciampare nei sassi, a stare lontano dallo spigolo del tavolo per non rompersi la fronte. La famiglia deve essere presente, deve vigilare sull’abuso di internet, deve controllare i profili dei figli, deve controllare le relazioni watsapp, visto che qui si formano i gruppi, in cui si è accolti o da cui si è esclusi, visto che i gruppi in cortile non ci sono più controllare le relazioni virtuali, attrezzare i figli a capire i rischi, le insidie ed evitarli. Solo se i genitori accompagnano i figli in questo percorso adolescenziale, si potrà sperare in una società migliore.
Occorre permettere ai figli di vivere relazioni reali con gli altri, di confrontarsi anche con quelli che non gli piacciono, di convivere con le difficoltà, di farsi carico di una sconfitta, di crescere attraverso le cadute, di sapersi difendere. Ma soprattutto i genitori devono essere veri educatori, devono vigilare sul rispetto delle regole e devono essere loro i primi a educarsi, perché non si educa attraverso quello che si dice o si fa, ma attraverso quello che si è. Se saranno educati i genitori, c’è speranza che i giovani imparino a vivere in società.
Ad Anna Arena, psicologa e psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, il compito di mettere a confronto il bullo e la vittima. Si parla di bullismo, in presenza di un sistematico gesto di aggressione. Il bullo ha sempre un atteggiamento narcisistico, ha bisogno di costante ammirazione, apparentemente ha una forte autostima, ma in realtà è un debole che fa di tutto per non farlo vedere. Spesso egli proviene da un contesto in cui mancano le regole, non si dialoga, ma si reagisce con violenza alle contrarietà, non si tollerano le frustrazioni, le critiche, si assumono atteggiamenti minacciosi, si offendono continuamente gli altri. La vittima, invece, ha una bassa autostima, è un soggetto chiuso, introverso, gestisce male un litigio, usa la rabbia facilmente, come difesa da chi lo minaccia, in realtà per un ingiustificato senso di colpa.
I bulli hanno una scarsa intelligenza emotiva, non sanno dominare le emozioni negative, non hanno la capacità di ascoltare gli altri, di mettersi alla pari con gli altri. A volte, però, il bullo è un ragazzo invisibile, quindi usa il gesto violento per dire: ci sono, ora mi vedi. Col tempo svilupperà però un disturbo della personalità, diventerà antisociale, distruttivo con tutti
La vittima ha una scarsa vita sociale, non ha gli strumenti sociali ed emotivi per difendersi. Vive in un contesto famigliare iperprotettivo, nella convinzione che tutto ciò che è fuori della famiglia è pericoloso; non gli si insegna a gestire il pericolo. Col tempo anch’egli svilupperà un disturbo della personalità, ricorrerà all’autolesionismo ( i tagli da emulazioni, il desiderio di sentire fisicamente il dolore, oggi tanto di moda tra giovani fragili), avrà disturbi di umore, disturbi di ansia, potrebbe arrivare al suicidio.
Come aiutare i propri figli? Insegnando loro a stare con gli altri, a saper gestire le situazioni di litigio, a sbagliare da soli e a trovare la strategia adeguata per non ricadere nell’errore. Gli errori servono per crescere, l’importante è far sapere ai figli che i genitori ci sono, sempre. Introdurre delle regole di comportamento in famiglia, poche, ma chiare, non ambigue, rispettarle e farle rispettare. Non nascondere le proprie emozioni (felicità, tristezze, paure, rabbia, sorpresa, disgusto) se accade qualcosa, per non trasmettere un falso senso di autocontrollo. Se il figlio compie un gesto negativo, sgridarlo, punirlo per il gesto, non generalizzare con un negativo giudizio di merito. E viceversa, se compie un bel gesto, non ritenerlo perfetto e infallibile.
A conclusione una mamma ha raccontato l’esperienza del figlio vittima di bullismo a scuola elementare, felicemente conclusa. La sig.ra Jacobino, notato il mutato comportamento del figlio, si era subito rivolta agli insegnanti e al dirigente scolastico. Non essendo stata ascoltata, ha trasferito il figlio alla scuola elementare “Mancini” di Crispiano, dove è stato accolto e ben inserito. Nella parrocchia di Santa Maria Goretti, il ragazzo è stato accettato, ascoltato e seguito nel suo percorso di crescita. Ora frequenta la scuola superiore e viaggia in treno, con gli stessi ex bulli, ma la riacquistata fiducia in sé lo rende sereno.
Don Mimmo infine ha ringraziato Michele Greco, i ragazzi del Servizio Civile, i relatori e quanti ha collaborato per l’iniziativa, che ha registrato consenso e partecipazione anche dell’Amministrazione Comunale, rappresentata dal sindaco Luca Lopomo e dagli assessori Aurora Bagnalasta e Angelo Fragnelli e dal Comandante della polizia locale Donato Greco.
Michele Annese